mercoledì 25 agosto 2010

Articolo apparso sulla rivista Valley Life numero 66/ agosto 2010

La scatola da scarpe

Abitavamo in via Tolletta ad Arezzo, con il laboratorio del babbo in casa e la mamma sempre indaffarata ad inventar pasti economici e rammendar calzini. Ogni tanto ,molto raramente per la verità dato che allora l’unico mezzo per spostarsi era camminare, venivano a trovarci persone, parenti o amici, non ricordo bene, comunque sempre qualcuno molto vicino alla famiglia che doveva raccontare gli ultimi problemi, ascoltare da mia madre le ultime incertezze, i ragazzi, la loro crescita da tener sotto controllo, i prezzi del mercato che variavano secondo la pioggia e mettevano a dura prova le risorse delle massaie. Tra un sospiro ed una speranza mia madre offriva un bicchierino di rosolio quando c’era o di vinsanto ed un biscotto di riso.

Poi quando gli animi avevano dato sfogo a tutte le loro incertezze, mia madre tirava fuori “ la scatola da scarpe” ripiena con le foto di amici e parenti, foto ingiallite e stropicciate, con i loro bordi frastagliati e le figure confuse nei grigi incerti, attimi di vita fissati che univano le persone in emozioni comuni.

Le foto passavano di mano in mano, si ripercorrevano gli anni passati, gli avvenimenti che fortunatamente erano stati fissati su carta, le persone care, i particolari, i vestiti, e tutto tornava a saper di vita vera, la conversazione riacquistava un ritmo consolante e nuove speranze sostenute da quei sentimenti tanto ben raffigurati in quei cartoncini stropicciati,scacciavano via le malinconie e le preoccupazioni di ogni giorno.

Quelle foto erano la prova tangibile , certa di affetti, di legami con persone care, la testimonianza di momenti importanti ed ogni particolare era prezioso, imperdibile.

Poi si rimettevano tutte le foto nella “ scatola da Scarpe” e la mamma la riponeva nel cassetto della consolle di salotto in attesa della prossima occasione.

Quella scatola ci ha seguito per tutta la nostra vita e non l’ abbiamo perduta neppure durante gli anni agitati della guerra quando per le continue fughe abbandonavamo tutto e tutto andò perduto .Ricordo bene quelle foto: lo zio Pino emigrato in America con quei pesci enormi che solo in un paese ricco a quel modo potevano essere pescati, lo zio Giorgio, fratello di mia madre, militare convinto e dedito al servizio della Patria, con la divisa ben stirata , lo sguardo “ fiero” le mostrine…, la nonna Giannina nel piazzale della villa, sotto la grande pergola di glicine, con i capelli piegati con le schiacce in grandi ondulazioni, la mamma con il suo abitino con il collo di pelliccia che la sarta con grande maestria aveva saputo ricavare da un vecchio vestito consumato del babbo, mio padre con la sigaretta accesa ed il cappello Borsalino sulle “ ventitre “ ,il nonno Adolfo con la nonna Maria in una carrozza nera e lucida a Mergellina con il Castel dell’ Ovo sullo sfondo, una foto mia e di mio fratello Gigi: io impettito e tirato a lucido con i capelli e la brillantina e quella mia arietta da sapientino, Gigi invece con la sua tutina con gli elastici sulle coscette infantili ed un’arietta da furbino che non lo abbandonerà mai.

Ogni foto era motivo di considerazioni e di scoperte e per quanto fossero state tutte prese in mano centinaia di volte esaminate e commentate, ogni volta si rivelavano portatrici di nuovi particolari, di eterni messaggi , di utili suggerimenti, di grande consolazione.

Oggi quella scatola non c’è più: fra le tante distrazioni degli ultimi tempi anche quella ne è rimasta vittima.

Io ho 7500 fotografie nel computer , oltre 2000 nel Melafonino, qualche migliaio nei due portatili. Le ho infilate in ogni parte possibile:sono nei miei siti, nel Blog, ho fatto album virtuali, giganteschi, approfittando della ospitalità della rete, le ho infilate nei network specializzati, in quei social-network che dovrebbero in qualche modo sostituire quella benedetta scatola di cartone. Apro i miei spazi e trovo

“ amici “ che non immaginavo di avere e che non riesco ad inquadrare in qualsiasi situazione che mi appartenga . Ho il mio “ profilo” unito a quello degli altri,: un esercito di estranei stretti in una pseudo amicizia irreale. Sono i “ non –amici”, i “non-parenti” che si ritrovano tutti insieme nei “ non-luoghi”, quelle persone che completano il quadro di quelle situazioni irreali che contribuiscono a costruire il mondo di oggi in un connubio di ricchezza e di miseria ( sto parlando di sentimenti) che fa stupire. Posso leggere cosa pensavano o facevano 5, 10 minuti fa, diecine di persone che dicono di essermi amiche, o comunque vicine in questo calderone di sentimenti appena accennati, di desiderio di stare insieme . La foto mi da le coordinate, la posizione esatta, i dati tecnici, luce , obiettivo, giorno e ora. Un esercito di sconosciuti mi è “ vicino” mi invita a feste impossibili, a raduni incomprensibili.

Io sono un amante della tecnologia e credo che tutti dobbiamo approfittarne e utilizzarla come base per un nuovo stile di vita, ma nello stesso tempo credo che non dobbiamo rinunciare alla nostra personale “ scatola da scarpe” dove i nostri pensieri, gli affetti, le nostre personalissime emozioni tengono custodite le immagini delle persone e comunque tutto ciò che ha contribuito, attimo dopo attimo, alla stesura di quella storia irripetibile che è la nostra vita, che appartiene a noi, solo a noi ed alle persone a cui siamo legati da affetti semplici e profondi, naturalmente veri.

Teniamola da conto questa eterna “ scatola da scarpe”: nei momenti difficili e quando avremo bisogno di consolazione non ci sarà bisogno di esser connessi o di essere in regola con l’ultimo piano tariffario. Basterà chiudere gli occhi e la scatola miracolosamente rivelerà tutto il suo consolant

domenica 22 agosto 2010

Bentornati a casa





Bentornati a casa. Noi che siamo stati quà , come tanti, più per mancanza di risorse che per mancanza di progetti estivi, siamo lieti di vedere che siete sopravvissuti nelle autostrade , che siete stati forti nell'attendere aerei in ritardo,che avete conquistato il vostro ombrellone in prima fila, che avete vissuta la vostra parte da " vacanzieri " al meglio delle vostre possibilità.
Se ci avete inviato cartoline , le guarderemo con invidia cercando un segno di vita in quelle immagini fredde ma seducenti, classiche delle cartoline, che sembrano fatte apposta per suscitare voglie impossibili fra quelli rimasti a casa.
Sono lieto che siete tornati, che avete dato sfogo a molte vostre energie , a tutte le vostre fantasie erotiche e no.
Se avete riportato esaltanti ricordi di avventure e di momenti estivi che vi hanno particolarmente sovraeccitati, vi prego, tenetevele per voi.Non sono così interessanti per la comunità e raccontandole perderanno molta della loro originalità e di quella che a voi è sembrata una esclusiva occasione.
Se vi siete stressati per qualche motivo, ( certamente ne avrete tanti a giusta ragione) non drammatizzate. Siete partiti stressati e così resterete. lo stress è una malattia cronica, al contrario di quanto dicono i medici' e colpisce alcune, troppe persone, fino dalla nascita.
Se l' amico che viaggiava con voi ha fatto sempre finta di arrivare tardi alla cassa per pagare l' aperitivo , non prendetevela : gli amici vanno presi come sono. Se la casa, la pensione , l'albergo o la barca non erano come avreste voluto, pazienza, cercate di capire che tutto è relativo e che non possiamo pretendere il massimo secondo la regola " low cost". Se tornando a casa trovate il frigo che non riparte, qualcosa che non funziona o peggio la casa svaligiata, .....calmi: questo rientra nel conto quando si abbandonano le cose ...al " pubblico rispetto" che , come è noto , non esiste più.
Ora bisognerebbe ricominciare a lavorare, . Disgraziatamente per qualcuno non sarà possibile data la situazione del mondo del lavoro, quindi noi che abbiamo la fortuna di poter svolgere una qualsiasi attività, bene o male retribuita, rimettiamoci sotto con entusiasmo e determinazione perchè il ritmo del lavoro in generale riprenda con forza e si riesca a ridar occupazione anche a chi ora non ce l' ha. Se le vacanze vi hanno deluso il lavoro potrà ripagarvi e darvi le giuste soddisfazioni. Buon lavoro a tutti. Coraggio: le settimane bianche( se il Padreterno vi ascolta) potrebbero essere vicine.

mercoledì 4 agosto 2010

L'amico Vincenzo Reda mi risponde ancora ed io non posso fare a meno di offrirvi anche la sua testimonianza che a me sembra preziosa .Questo blog non dovrebbe essere un colloquio a due , tra me e Vincenzo: se qualcuno vorrà intervenire potremo insieme arricchire le nostre riflessioni.Grazie

Caro Giancarlo,
Leggere certi tuoi scritti ogni tanto mi stimola ricordi.
Andai a New York la prima volta per correre la maratona nel novembre del 1987, avevo gli anni di Cristo.
Ci arrivai pieno di preconcetti, pensando di trovare un posto invivibile e senz’anima. Purtroppo, quell’anno la maratona si correva il primo di novembre, domenica di halloween e si correva dopo quasi una settimana dal mio arrivo in città. Ero in forma smagliante e preparato a correre in meno di tre ore le 26,386 miglia (42,195 Km.): l’unica cosa che mi preoccupava era di tenermi in allenamento fino al fatidico colpo di cannoncino sul ponte Da Verrazzano a Staten Island.
Successe che mi dimenticai completamente della maratona e, insieme con il mio cognato di allora Alex (mia sorella ha poi divorziato da quell’adorabile pazzo), scorazzammo quasi sempre ubriachi per tutti i luoghi possibili della città, in una sorta di delirio che non si può raccontare.
La notte prima della gara, Alex mi trascinò di forza - ero pieno di martini fino ai capelli - in albergo: ci si doveva alzare molto presto per raggiungere in bus dal centro di New York (eravamo in albergo a due passi da Central Park) il luogo della partenza. Mi alzai come ci si alza dopo una sbronza e tre ore scarse di sonno: coma totale.
Confuso tra i 21.000 partecipanti di quell’anno, e si partiva ancora tutti insieme, cominciai a correre almeno dopo un quarto d’ora abbondante dopo il via (causa la ressa dei partecipanti). Ebbi varie crisi, ma riuscii a finire la gara in 3h e 31 minuti! Mi piazzai intorno al 4.200 posto ed ero completamente disfatto!!
Alla partenza da quel posto magico, giuro, ho pianto.
Sono tornato lì una sola volta, purtroppo, ma quella città mi è rimasta nel cuore, nello stomaco, nel cervello. Bisognerebbe passarci almeno un mese tutti gli anni.
Quindi ti capisco appieno e hai profondamente ragione.
Salute

martedì 3 agosto 2010

NEW YORK



Dire che amo New York non rende bene l’idea:il fatto è che io ho il cervello fatto a forma di New York!!!!! Io sono un Californiano per adozione. Ho lavorato molte volte a Macy’s in Union Square e la California mi ha letteralmente liquefatto il cuore quando alla fine degli anni ‘ 60 ho avuto modo di veder nascere e partecipare a quel movimento che fu definito Hippy . Avevo aperta una sala campionaria a Marina , tra il Fisherman warf ed il Golden Gate. Alla sera mangiavo grandi filetti alla griglia da New Joe in Broadway e poi me ne andavo in giro a entusiasmarmi per le mille imprevedibili provocazioni che la San Francisco di notte ti offriva. In California ho sempre respirato aria di libertà , ho camminato per le strade e scarrozzato con il Cable Car con quella gioia del non far niente in una situazione che non ha niente dell’ozio o della rinuncia : a San Francisco non fai niente e senti che vivi al massimo, che le tue celluline grigie mettono le foglioline verdi come gli alberi a primavera e le idee si gongolano e crescono bene nutrite da quell’arietta frizzantina e da tutto quanto ti circonda. In California ogni cosa è una, mille idee, ogni sasso, ogni spiaggia, ogni macchia di verde ti fa sentire tutto uno con la natura, ma non sei lontano come in un bosco solitario, non sei out ma sei connesso con il mondo delle idee e delle emozioni . A san Francisco anche i cani sono felici, i mendicanti, grandi artisti che ballano e cantano o suonano per le strade con una maestria tale che ti domandi di che cosa ci accontentiamo in Europa. Bene, se questo è quanto la California ha da sempre alimentato in me, da un po’ di anni New York mi ha conquistato. A New York ho lavorato in lungo ed in largo negli anni ’60-’70, da Brooklin ai migliori Department store di Manhattan, fino alle periferie Queens, New Jersey e altro . Il lavoro mi aveva presentato una New York tradizionale, i grandi alberghi in centro, i party organizzati dalle special events coordinators, le cene tradizionali nelle famose Steack house, i musei, la biblioteca Rizzoli, Tiffany e tutto quel guazzabuglio di cose belle e uniche che solo New york ti propina a piene mani.

Poi sono terminate le occasioni di lavoro e mi sono accorto che New York non era quella che conoscevo da sempre o meglio non era solo quello: l’occasione mi fu data dall’aver scelto un alberghetto nell’Upper West Side. Trovai una New York diversa che non conoscevo e decisi quindi di esplorarla meglio da quel nuovo punto di vista.

Mi sono scelto alberghi fuori mano , nel nord dell’ isola oppure direttamente nel New Jersey per dovermi muovere e vivere tutti quei posti lontani dalla “ Mela” che tutti conosciamo. Ho camminato nel grande parco proprio all’estremo nord dell’isola oltre il Cloister museum, dove l’ Hudson si divide in due e l’abbraccia fino giù all’ Oceano,sono stato ore ad osservare il via vai di studenti nel tranquillissimo Campus della Columbia University, mi sono fatto tutte le linee della subway , anche le più periferiche sbarcando in quartieri impossibili, villaggi di pescatori, ghetti di neri malandati, sobborghi da cartolina di natale o zone residenziali secondo la miglior commedia americana,attraversando quei quartieri residenziali, nuovi o vecchi e malandati con la consunta bandierina americana , dove milioni di persone si ritirano ogni sera dopo aver animato in vario modo questo spicchio di mondo .

Ma anche i luoghi deserti hanno un fascino particolare e sono lì perché tu li possa leggere senza il colore dell’umanità che in certi momenti li frequenta e li anima, ma sempre ne condiziona il godimento

Sono andato a dicembre a Coney Island ed a Long Island con l’oceano che si sfoga sulla lunga striscia di sabbia ed il vento l ‘ alza da terra e la porta a levigar montagne di conchiglie. I gabbiani in fila controvento creano ombre di sabbia che si accumula attorno alle gambette e ti guardano meravigliati Ho passato ore sulle panchine attorno a Battery park osservando il via vai dei battelli tra Manhattan e il New Jersey, .Ho preso alberghi impossibili, quelli dove la zona difficile da superare è tra l’ingresso guardato da un portoricano e le scale inquietanti , poi arrivi in camera e chiudi tutto , al sicuro nuovamente .Ho camminato nel parco con la neve e tanto ghiaccio che sembra non dovrà sciogliersi mai, e nei giardini, ho mangiato le mie zuppe a peso a Bryan Park con un freddo boia guardando operai imbacuccati come marziani smontare o rimontare una pista da ballo o da pattinaggio, e gli immancabili appassionati di scacchi a giocar con ogni tempo. Mi sono fatto scorrazzare da tutti i traghetti , ho camminato e curiosato nelle isole che completano questo mondo infinito chiamato New York. Nei giardini spesso piccole bandierine piantate a terra con un Nome scritto sopra un cartoncino, testimoniano il desiderio di far continuare a vivere la memoria di giovani ragazzi caduti lontano,ragazzi suonano chitarre nelle stazioni della subway , attimi di paura e di malinconia subito vinti e sopraffatti dalle grandi insegne pubblicitarie che inneggiano ad una vita facile e felice per tutti.

Ora New York mi è entrata nel sangue come un veleno e non posso più vivere senza. Ogni giorno , ogni attimo la sogno la penso come un grande amore non corrisposto. Vivo con il terrore di non poterci tornare, di non rivederla più. E’ strano amare tanto un posto che apparentemente non mi appartiene. Io stesso non me lo so spiegare se non seguendo il filo dei miei sentimenti irrazionali.

domenica 1 agosto 2010

La grande festa della Porchetta


Questo fiorire di attività culturali, in estate , ad uso e consumo dei turisti specialmente stranieri, mi fa ripensare all’ antica abitudine di indossare il vestito della festa nelle occasioni importanti o di metter la tovaglia “ buona “ a tavola quando si invitava qualcuno .E’ un’abitudine provinciale, un modo di presentarsi agli altri come in effetti non si è, anche se si intuisce che quella dovrebbe essere logicamente il nostro vero modo di essere . Preferiamo “ salvare le apparenze” pensiamo basti la forma, la sostanza non conta. Mentre gli italiani “acculturati” si godono l’estate con sagre della nana, feste di porchette e grandi abbuffate di paste fatte in casa, mentre i nostri giovanotti impazzano con impossibili raduni attorno a improvvisati happy hour e notti di ogni colore che hanno il solo risultato di trasformare le città in qualcosa di invivibile ed insopportabile, nelle cantine delle grandi fattorie degradate ad agriturismo , nei sagrati di qualche chiesetta di campagna , negli angoli certamente suggestivi di questa nostra benedetta terra, si organizzano concerti, recite di poemi inediti di qualche secolo fa, serate di musica classica. Si rispolverano quartetti d’archi, soprani incerti, fini dicitori e artisti di ogni genere che , mi domando , dov’erano e cosa facevano in tutto il resto dell’anno, in tutti quei mesi in cui l’unica forma di spettacolo diffusa è quella dei reality TV..

Gli stranieri, pochi quest’anno, accorrono ammirati e certo tornando nelle loro terre racconteranno come la cultura sia viva e ben praticata in Italia, come il popolo la coltiva giorno per giorno, facendo vino al suono di musiche di Bach, coltivando i campi declamando Cicerone, facendo shopping ascoltando melodie fantastiche.

Racconteranno che mentre comperi un etto di salame il macellaio ti declama Dante e che si beve vino centellinandolo nel fresco delle cantine ascoltando Beethoven.

. Quando abitavo a Roma , a via del Babuino, dalle case attorno alla Bottega di Fulgenzi, case degradate come gran parte del centro di Roma, uscivano tipi agghindatissimi che noi del quartiere conoscevamo benissimo per essere tipici rappresentanti di tutta quella fauna che era vissuta ai bordi della famosa “ dolce vita” raccogliendo le briciole e che non voleva riporre nel famoso cassetto quel sogno impossibile, e comunque tramontato, ma io direi mai esistito veramente.

Abitavano in case che spesso avevano i cartoni al posto dei vetri e potevano mantenersele solo grazie a quel traffico strano tipico romano per cui se affitti una casa poi spesso se la passano di mano in mano ed il proprietario non riesce più a rintracciare le fila di questa fantasiosa locazione. Uscivano da queste case fatiscenti,( Via Laurina, via Margutta etc) con vestiti elegantissimi anche se spesso di annata, grandi fazzoletti fuori dai taschini, cravattone ben annodate, cappelli e capelli vissuti, e con quell’aria di chi la vita la conosce come le sue tasche (vuote in questi casi). Si andavano a piazzare nei tavoli di Rosati o di Canova a Piazza del Popolo, oggetto di ammirazione e invidia dei turisti italiani e no che non potevano non essere affascinati dalla vista di personaggi tanto eccezionali.

Certo tutti pensavano, doveva trattarsi di nobili romani, o di gente dello spettacolo o comunque di persone che solo in una citta come Roma potevi incontrare, un eleganza di portamento e di modi che solo in Italia potevi ammirare..

Martini dipingeva con le sue bottigliette di inchiostro di china, sugli scalini della chiesa di Santa Maria attorniato , nonostante la sua allergia alle docce, da giovani turiste ammaliate sempre dal fascino di questi artisti che in Italia con niente, creano arte e meraviglie. In una Roma sguaiata e caciarona i turisti hanno per anni subito il fascino irresistibile di questa citta dalla “ dolce vita” .

Attorno a me , nella splendida Val di Chiana, i paesi , piccoli gioielli toscani, sono praticamente morti, distrutti da amministrazioni comunali ignoranti e incompetenti. I pochi monumenti che la lunga storia di questi posti ci ha donato, sono trascurati, cadenti praticamente in rovina. Le sagre di ogni genere invitano il popolo a baccanali sguaiati e senza senso. Si vive tra nane arrosto e porchette chilometriche, niente di più, l’ agricoltura stessa che era custode di grande civiltà del vivere, è praticamente scomparsa senza che nessuno se ne preoccupi.

I macellai declamano Dante mentre nelle cantine musiche di Bach e soprani incerti lasciano pensare ai turisti che siamo un popolo educato e amante della cultura.I Comuni non hanno , dicono, soldi per acquistare cassonetti dei rifiuti , ma trovano risorse per organizzare incredibili rievocazioni storiche di battaglie che nessuno conosce bene e che non interessano più. La storia continua. Ancora prendiamo in giro Mussolini perché durante la visita di Hitler in Italia coprì le brutturie di una Roma trasandata con scenari da palcoscenico. Abbiamo perduto il pelo…ma il vizio……… !!!!!!