La scatola da scarpe
Abitavamo in via Tolletta ad Arezzo, con il laboratorio del babbo in casa e la mamma sempre indaffarata ad inventar pasti economici e rammendar calzini. Ogni tanto ,molto raramente per la verità dato che allora l’unico mezzo per spostarsi era camminare, venivano a trovarci persone, parenti o amici, non ricordo bene, comunque sempre qualcuno molto vicino alla famiglia che doveva raccontare gli ultimi problemi, ascoltare da mia madre le ultime incertezze, i ragazzi, la loro crescita da tener sotto controllo, i prezzi del mercato che variavano secondo la pioggia e mettevano a dura prova le risorse delle massaie. Tra un sospiro ed una speranza mia madre offriva un bicchierino di rosolio quando c’era o di vinsanto ed un biscotto di riso.
Poi quando gli animi avevano dato sfogo a tutte le loro incertezze, mia madre tirava fuori “ la scatola da scarpe” ripiena con le foto di amici e parenti, foto ingiallite e stropicciate, con i loro bordi frastagliati e le figure confuse nei grigi incerti, attimi di vita fissati che univano le persone in emozioni comuni.
Le foto passavano di mano in mano, si ripercorrevano gli anni passati, gli avvenimenti che fortunatamente erano stati fissati su carta, le persone care, i particolari, i vestiti, e tutto tornava a saper di vita vera, la conversazione riacquistava un ritmo consolante e nuove speranze sostenute da quei sentimenti tanto ben raffigurati in quei cartoncini stropicciati,scacciavano via le malinconie e le preoccupazioni di ogni giorno.
Quelle foto erano la prova tangibile , certa di affetti, di legami con persone care, la testimonianza di momenti importanti ed ogni particolare era prezioso, imperdibile.
Poi si rimettevano tutte le foto nella “ scatola da Scarpe” e la mamma la riponeva nel cassetto della consolle di salotto in attesa della prossima occasione.
Quella scatola ci ha seguito per tutta la nostra vita e non l’ abbiamo perduta neppure durante gli anni agitati della guerra quando per le continue fughe abbandonavamo tutto e tutto andò perduto .Ricordo bene quelle foto: lo zio Pino emigrato in America con quei pesci enormi che solo in un paese ricco a quel modo potevano essere pescati, lo zio Giorgio, fratello di mia madre, militare convinto e dedito al servizio della Patria, con la divisa ben stirata , lo sguardo “ fiero” le mostrine…, la nonna Giannina nel piazzale della villa, sotto la grande pergola di glicine, con i capelli piegati con le schiacce in grandi ondulazioni, la mamma con il suo abitino con il collo di pelliccia che la sarta con grande maestria aveva saputo ricavare da un vecchio vestito consumato del babbo, mio padre con la sigaretta accesa ed il cappello Borsalino sulle “ ventitre “ ,il nonno Adolfo con la nonna Maria in una carrozza nera e lucida a Mergellina con il Castel dell’ Ovo sullo sfondo, una foto mia e di mio fratello Gigi: io impettito e tirato a lucido con i capelli e la brillantina e quella mia arietta da sapientino, Gigi invece con la sua tutina con gli elastici sulle coscette infantili ed un’arietta da furbino che non lo abbandonerà mai.
Ogni foto era motivo di considerazioni e di scoperte e per quanto fossero state tutte prese in mano centinaia di volte esaminate e commentate, ogni volta si rivelavano portatrici di nuovi particolari, di eterni messaggi , di utili suggerimenti, di grande consolazione.
Oggi quella scatola non c’è più: fra le tante distrazioni degli ultimi tempi anche quella ne è rimasta vittima.
Io ho 7500 fotografie nel computer , oltre 2000 nel Melafonino, qualche migliaio nei due portatili. Le ho infilate in ogni parte possibile:sono nei miei siti, nel Blog, ho fatto album virtuali, giganteschi, approfittando della ospitalità della rete, le ho infilate nei network specializzati, in quei social-network che dovrebbero in qualche modo sostituire quella benedetta scatola di cartone. Apro i miei spazi e trovo
“ amici “ che non immaginavo di avere e che non riesco ad inquadrare in qualsiasi situazione che mi appartenga . Ho il mio “ profilo” unito a quello degli altri,: un esercito di estranei stretti in una pseudo amicizia irreale. Sono i “ non –amici”, i “non-parenti” che si ritrovano tutti insieme nei “ non-luoghi”, quelle persone che completano il quadro di quelle situazioni irreali che contribuiscono a costruire il mondo di oggi in un connubio di ricchezza e di miseria ( sto parlando di sentimenti) che fa stupire. Posso leggere cosa pensavano o facevano 5, 10 minuti fa, diecine di persone che dicono di essermi amiche, o comunque vicine in questo calderone di sentimenti appena accennati, di desiderio di stare insieme . La foto mi da le coordinate, la posizione esatta, i dati tecnici, luce , obiettivo, giorno e ora. Un esercito di sconosciuti mi è “ vicino” mi invita a feste impossibili, a raduni incomprensibili.
Io sono un amante della tecnologia e credo che tutti dobbiamo approfittarne e utilizzarla come base per un nuovo stile di vita, ma nello stesso tempo credo che non dobbiamo rinunciare alla nostra personale “ scatola da scarpe” dove i nostri pensieri, gli affetti, le nostre personalissime emozioni tengono custodite le immagini delle persone e comunque tutto ciò che ha contribuito, attimo dopo attimo, alla stesura di quella storia irripetibile che è la nostra vita, che appartiene a noi, solo a noi ed alle persone a cui siamo legati da affetti semplici e profondi, naturalmente veri.