martedì 3 agosto 2010

NEW YORK



Dire che amo New York non rende bene l’idea:il fatto è che io ho il cervello fatto a forma di New York!!!!! Io sono un Californiano per adozione. Ho lavorato molte volte a Macy’s in Union Square e la California mi ha letteralmente liquefatto il cuore quando alla fine degli anni ‘ 60 ho avuto modo di veder nascere e partecipare a quel movimento che fu definito Hippy . Avevo aperta una sala campionaria a Marina , tra il Fisherman warf ed il Golden Gate. Alla sera mangiavo grandi filetti alla griglia da New Joe in Broadway e poi me ne andavo in giro a entusiasmarmi per le mille imprevedibili provocazioni che la San Francisco di notte ti offriva. In California ho sempre respirato aria di libertà , ho camminato per le strade e scarrozzato con il Cable Car con quella gioia del non far niente in una situazione che non ha niente dell’ozio o della rinuncia : a San Francisco non fai niente e senti che vivi al massimo, che le tue celluline grigie mettono le foglioline verdi come gli alberi a primavera e le idee si gongolano e crescono bene nutrite da quell’arietta frizzantina e da tutto quanto ti circonda. In California ogni cosa è una, mille idee, ogni sasso, ogni spiaggia, ogni macchia di verde ti fa sentire tutto uno con la natura, ma non sei lontano come in un bosco solitario, non sei out ma sei connesso con il mondo delle idee e delle emozioni . A san Francisco anche i cani sono felici, i mendicanti, grandi artisti che ballano e cantano o suonano per le strade con una maestria tale che ti domandi di che cosa ci accontentiamo in Europa. Bene, se questo è quanto la California ha da sempre alimentato in me, da un po’ di anni New York mi ha conquistato. A New York ho lavorato in lungo ed in largo negli anni ’60-’70, da Brooklin ai migliori Department store di Manhattan, fino alle periferie Queens, New Jersey e altro . Il lavoro mi aveva presentato una New York tradizionale, i grandi alberghi in centro, i party organizzati dalle special events coordinators, le cene tradizionali nelle famose Steack house, i musei, la biblioteca Rizzoli, Tiffany e tutto quel guazzabuglio di cose belle e uniche che solo New york ti propina a piene mani.

Poi sono terminate le occasioni di lavoro e mi sono accorto che New York non era quella che conoscevo da sempre o meglio non era solo quello: l’occasione mi fu data dall’aver scelto un alberghetto nell’Upper West Side. Trovai una New York diversa che non conoscevo e decisi quindi di esplorarla meglio da quel nuovo punto di vista.

Mi sono scelto alberghi fuori mano , nel nord dell’ isola oppure direttamente nel New Jersey per dovermi muovere e vivere tutti quei posti lontani dalla “ Mela” che tutti conosciamo. Ho camminato nel grande parco proprio all’estremo nord dell’isola oltre il Cloister museum, dove l’ Hudson si divide in due e l’abbraccia fino giù all’ Oceano,sono stato ore ad osservare il via vai di studenti nel tranquillissimo Campus della Columbia University, mi sono fatto tutte le linee della subway , anche le più periferiche sbarcando in quartieri impossibili, villaggi di pescatori, ghetti di neri malandati, sobborghi da cartolina di natale o zone residenziali secondo la miglior commedia americana,attraversando quei quartieri residenziali, nuovi o vecchi e malandati con la consunta bandierina americana , dove milioni di persone si ritirano ogni sera dopo aver animato in vario modo questo spicchio di mondo .

Ma anche i luoghi deserti hanno un fascino particolare e sono lì perché tu li possa leggere senza il colore dell’umanità che in certi momenti li frequenta e li anima, ma sempre ne condiziona il godimento

Sono andato a dicembre a Coney Island ed a Long Island con l’oceano che si sfoga sulla lunga striscia di sabbia ed il vento l ‘ alza da terra e la porta a levigar montagne di conchiglie. I gabbiani in fila controvento creano ombre di sabbia che si accumula attorno alle gambette e ti guardano meravigliati Ho passato ore sulle panchine attorno a Battery park osservando il via vai dei battelli tra Manhattan e il New Jersey, .Ho preso alberghi impossibili, quelli dove la zona difficile da superare è tra l’ingresso guardato da un portoricano e le scale inquietanti , poi arrivi in camera e chiudi tutto , al sicuro nuovamente .Ho camminato nel parco con la neve e tanto ghiaccio che sembra non dovrà sciogliersi mai, e nei giardini, ho mangiato le mie zuppe a peso a Bryan Park con un freddo boia guardando operai imbacuccati come marziani smontare o rimontare una pista da ballo o da pattinaggio, e gli immancabili appassionati di scacchi a giocar con ogni tempo. Mi sono fatto scorrazzare da tutti i traghetti , ho camminato e curiosato nelle isole che completano questo mondo infinito chiamato New York. Nei giardini spesso piccole bandierine piantate a terra con un Nome scritto sopra un cartoncino, testimoniano il desiderio di far continuare a vivere la memoria di giovani ragazzi caduti lontano,ragazzi suonano chitarre nelle stazioni della subway , attimi di paura e di malinconia subito vinti e sopraffatti dalle grandi insegne pubblicitarie che inneggiano ad una vita facile e felice per tutti.

Ora New York mi è entrata nel sangue come un veleno e non posso più vivere senza. Ogni giorno , ogni attimo la sogno la penso come un grande amore non corrisposto. Vivo con il terrore di non poterci tornare, di non rivederla più. E’ strano amare tanto un posto che apparentemente non mi appartiene. Io stesso non me lo so spiegare se non seguendo il filo dei miei sentimenti irrazionali.

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