venerdì 31 dicembre 2010

Prima che aboliscano il Natale.....



Profumo di abete , odore di borraccina, qualche lustrino , una candelina, un giocattolino a molla , una statuina di gesso e ti si scioglie l’anima! Il gioco è fatto: è Natale.

Lo so: io sono fuori tempo , sono culturalmente elementare. In effetti da molti anni sento dire che alcuni sapienti nostrani hanno dedotto e decretato che Babbo Natale non esiste e che l’Epifania è una pura invenzione commerciale. Mi vergogno!! L’ho sentito dire ed ho anche assistito a dibattiti in tal senso, ma non riesco ad accettare l’idea.

E’ vero , in effetti l’avevano detto anche “ le televisioni” ma io che sono stupidamente romantico mi ero rifiutato di capire. Ho sempre creduto , lo confesso, che stare a tavola tra persone care e amici fosse un momento importante anche per l’anima ed avevo sottovalutato la dieta a punti o la prova costume, avevo pensato che dare ai nostri giovani e giovanissimi successori, la sana abitudine di festeggiare certe ricorrenze in famiglia fosse qualcosa che avrebbe contribuito alla loro formazione,al loro equilibrio, al rispetto di tradizioni secolari, a momenti di comunione e di affetto con le persone che ti stanno vicino , parenti o amici che siano: sbagliavo!! Pare che una sonora serata in discoteca o al pub sia più intelligente , tanto che si organizzano (a che punto arriva il progresso!!!!) da parte dei comuni, pulmini per riportarti a casa figli ubriachi o drogati. Evitiamo almeno che perdano punti sulla patente!!!!.

Quando mangiavo una fetta di panettone avevo sempre, stupidamente, pensato a quanti avevano lavorato per produrlo, confezionarlo, trasportarlo, venderlo, e ritenevo che quei pochi euro che avevo pagato avrebbero concorso a tener viva un’ azienda e a dare giusto compenso a tutti quelli che attorno a quel panettone avevano lavorato. Quando ammiravo le sfavillanti vetrine dei pasticceri, delle macellerie inghirlandate, quei grandi trofei di golose leccornie nelle vetrine delle delle pizzicherie, mi prendeva subito la voglia di un camino acceso e di un bel gruppo di amici con cui brindare: non è attuale!!!Pare che sia preferibile dirottare l’importo equivalente ai saggi cultori della salvezza della “ foca monaca” o del “ falco pellegrino” che sapranno più accortamente amministrare il tutto.

La salvezza del macellaio, del pasticcere, del pizzicagnolo non è intellettualmente interessante, o comunque non è compito loro.

Le mie colpe non finiscono qui, riconosco ora davanti a tutti che mi sono mille volte incantato ad ascoltare White Cristhmas da Frank Sinatra : lo confesso mi piace ancora, se sono solo la canticchio anche !!

Ma non è tutto, la mia follia va ben oltre: ogni anno costruisco piccoli Presepi che volentieri regalo a chi come me ne rimane incantato, appassionandomi a una storia che rappresentiamo sempre con le solite figure ma che risulta sempre diversa , affascinante, un miracolo che ti sboccia fra le mani e neanche ci credi, e vorresti gridare forte la gioia sublime di fare piccoli miracoli con cose da nulla.

Naturalmente anche io avevo notato che qualcuno andava fuori di testa esibendosi in regali miliardari e feste arabeggianti, nella costruzione di improbabili presepi viventi e alberi di natale ricavati da auto rottamate.. Si sa le esagerazioni ci sono sempre, e come sempre la pubblicità e “ le televisioni “ non si erano tirate indietro a propagandare e diffondere certe abitudini imbarazzanti.

Con le Botteghe di Fulgenzi anni ’60 -’70 , avevamo però cercato di dimostrare che bastava un fiore di carta , una candela fatta a mano, un giocattolino a molla o comunque un piccolo oggetto che parlasse di vita e di fantasia, per donare un attimo di gioia e di stupore alle persone.

Io personalmente mi sono sempre guardato attorno e fra le mie cose ho sempre trovato un piccolo regalo che avrebbe parlato agli altri del mio affetto , non li avrebbe messi in imbarazzo, ed avrebbe testimoniato che donavo loro qualcosa di me , qualcosa priva di ogni valore venale ma ricca di sentimenti veri..

Allarmato però da tanta intelligenza dilagante,nel 1971 misi nella vetrina del negozio di via del Babuino questo cartello:

COMPRATE I VOSTRI REGALI PRIMA CHE ABOLISCANO IL NATALE!

Era evidentemente una esagerazione provocatoria ma credo sempre proponibile. In effetti non credo che avessero intenzione di abolire il Natale, ma molto più semplicemente di distruggere quel sogno dorato fatto di poco e di tanto insieme , quei momenti rari che sanno di vita vera e che sfuggono inevitabilmente al controllo interessato di politici , finanzieri e burocrati, e di tutti coloro che si sono autonominati amministratori della nostra esistenza.

Sono passati tanti anni ormai, io penso onestamente che il Natale sopravviverà ,la fantasia vince qualsiasi intellighenzia distruttrice. Teniamoci le nostre stelline di stagnola, le lucette incerte, abbandoniamoci a tombole e caldarroste, continuiamo ad esplorare mercerie,soffitte e vecchi negozi in cerca di piccoli oggetti che possano testimoniare il nostro amore a chi più ci appartiene. Non vergogniamoci per una cena con amici, per quei dolcetti che poi ci costringeranno a qualche attenzione alimentare dopo. Non nascondiamo la nostra innocente ingenuità.

Prendiamoci qualche ora per confezionare, uno ad uno, con attenzione e un pizzico di creatività i nostri pacchettini, incastriamoli bene nei sogni, nelle aspirazioni delle persone a cui li dedichiamo ed avremo fatto in un colpo solo un indimenticabile regalo a tante persone: certamente a chi lo riceverà e vedrà in una piccola cosa il segno dei nostri sentimenti , avremo gratificato con un piccolo aiuto quei negozietti costretti ormai all’abbandono dalle “ griffe” dilaganti, ma soprattutto avremo fatto un enorme regalo a noi stessi: nessuno potrà dimenticare la gioia della scoperta degli oggetti giusti, il piacere della preparazione e della dedica e l’ emozione impagabile di constatare che abbiamo anche noi fatto il nostro piccolo miracolo di Natale: abbiamo donato amore, ed è il massimo!!

Articolo apparso sul numero di dicembre della rivista Valle Life

sabato 13 novembre 2010

VORREI


Vorrei capire , almeno per un giorno, come è fatto il mondo.

Vorrei parlare una volta sola con le persone che mi stanno attorno: da una vita diciamo parole e non ci siamo mai parlati.

Vorrei vedere quanto è bella la natura , i sassi, le foglie, gli insetti, la pioggia, la terra : vorrei una volta sola guardare tutto fino a capirne l ‘ essenza vera,

Vorrei andare in giro e non avere legami per godere la libertà, senza affetti, senza amicizie ma anche senza paure né malinconie.

Vorrei assaporare per un giorno solo questa vita che ho sciupata tra carte e problemi, tra chiacchiere inutili e sogni impossibili.

Vorrei trovare una persona con la quale parlare, senza parole, una persona con la quale ti intendi al volo e che poi non soffre se te ne vai e non ti manca se ti è lontana.

Vorrei non aver casa e non soffrirne,vorrei essere lontano da tutto.

Vorrei non esser nato per non dover morire.

Vorrei mia madre sempre accanto a me , non so come l’ho perduta, non so come questa atrocità sia possibile in un mondo così sapientemente programmato.

Vorrei sparire e che nessuno se ne accorgesse neppure , come se non fossi mai esistito.

Vorrei stare in riva al mare per una vita intera fino ad averlo “ capito “ tutto e non essermi limitato allo sciacquettio delle onde alla riva.

Vorrei parlare con i miei cani, che certamente capiscono le mie parole come io le loro, ma usiamo linguaggi talmente diversi che ci amiamo a gesti, esprimendo solo grossolanamente i nostri profondi sentimenti.

Vorrei lavorare tranquillo, vorrei essere miliardario per lavorare in pace e fare non ciò che si vende ma ciò che ho in testa e che fa impazzire di gioia prima di tutti soprattutto me.

Vorrei spiegare agli altri come sono io, dentro, nell’anima e nei pensieri , perché sono più sopportabile di quanto agli altri non appaia , li amo e non lo sanno, vorrei parlare e non so spiegarmi.

Mi domando se questi pensieri sono solo miei, mie follie che sbocciano nel mio cervellino come erbe selvatiche e da estirpare.

domenica 31 ottobre 2010

Il Motorino


Andava tranquillo con il suo motorino scassato, quel poveretto sulla riviera Viareggina. Aveva probabilmente stretto di nuovo tutti quei bulloncini che si allentano di continuo nelle cose che hanno lunga vita alle spalle, e aveva dati ancora due sapienti colpi di pompa per riportare il pneumatico consunto alla pressione giusta. I motorini di una certa età, sono come i vecchi , o li ami e li curi di continuo o li abbandoni, come spesso succede, e allora tutto ad un tratto, non valgono più niente.

Arrivato sul lungomare aveva parcheggiato tranquillo accanto al marciapiede, tra macchine grandi come carri armati .Quel motorino lo amava come uno di famiglia, arrancando e scoppiettando lo portava sempre da una parte all’altra richiedendo poche cure, molta attenzione e poca spesa. Il tempo di scendere: la macchina spaziale parcheggiata davanti al motorino fa marcia indietro, da una botta al piccolo bolide e lo lascia sofferente sull’ asfalto. Racconta un cronista, sensibile e molto acuto che , miracolo dei miracoli, scende dall’ astronave un russo facoltoso, allunga una manciata di soldi al centauro rimasto sbigottito e se ne va. Il cronista attento quantifica la somma , cinquantamila, e finisce il pezzo con battute degne di lui e gridolini di gioia per tanto miracolo.

Io penso che in questi casi l’ omicidio dovrebbe essere consentito, addirittura incoraggiato. L’amore che ti lega alle tue cose, alla tua “vita” , agli oggetti che ogni giorno curi, accarezzi, tenendoteli accanto come persone care, come parte stessa del tuo fisico e dei tuoi sentimenti, questo amore non può essere quantificato ne si può consentire che venga mortificato da un uso smodato del denaro.

Il denaro è una convenzione: per non dover andare in giro con pecore e polli da cambiare con fagioli e cicerchie, l’ uomo ebbe la sfortunata idea di inventare questa assurda soluzione: la moneta.

Una volta il denaro era strettamente legato al lavoro, alla fatica: più producevi, più lavoravi, quanta più impegno mettevi nella tua attività, quanto più denaro riuscivi a racimolare.

La ricchezza era una situazione che restava entro limiti fisiologici e l’origine stessa di quel denaro, sempre frutto di lavoro e di impegno, trasmetteva ai fortunati arricchiti, codici di comportamento rispettosi proprio di quelle attività e di quelle situazioni che avevano permesso a loro di conquistarla e di goderne .

Il denaro dovrebbe, io penso, derivare solo dal lavoro ed al lavoro dovrebbe tornare quando i fortunati possessori hanno voglia di investirlo.

Oggi il denaro viaggia per altre strade, nasce e cresce come una pianta malefica nel terreno senza regole morali, della speculazione, o della fortunata coincidenza che permette ad alcuni, indipendentemente dalle loro reali capacità, di trovarsi a ricoprire ruoli in lavori ad alto reddito e scarso impegno.

Sport, spettacolo ed in particolare cinema , televisione e gioco del calcio, riescono a movimentare quantità di denaro impressionanti, e quindi a distribuire somme irragionevoli ai fortunati che , anche senza grandi meriti, hanno l’avventura fortunata di partecipare a questi grandi baracconi del vivere facile .

I denari si accumulano come le foglie secche quando tira vento, solo in certi punti , senza una logica apparente,se hai la fortuna di trovarti nell’angolo giusto i soldi ti piovono addosso senza che tu sappia neppure da dove arrivano.

La facilità con cui accumulano ricchezza, dà a quei vuoti fortunati, la errata sicurezza che con il denaro si può far tutto

Mentre questa” nuova Aristocrazia” dalla moneta facile scorrazza nel nostro tempo tra liquidazioni miliardarie e barche tipo portaerei, la “ normale umanità” quelli del motorino, del gas a bombole, quelli con la tesserina del supermercato, tutti quelli che corrono e si arrabattano per mettere insieme mille….mille cinquecento euro in un mese di lavoro, quelli del gratta e vinci e dei sogni impossibili ,combattono ogni giorno la battaglia del “ low cost: la massa , quella che tira la carretta e riempie ogni mattina strade e metropolitane, gioca al grande slalom tra offerte speciali e finanziamenti tasso zero.

Leggi cose che sembrano incubi: in una località della Versilia sono arrivati russi con tanti soldi: bene direte voi, no male ….. molto male: comprano tutto a suon di quattrini buttano fuori la gente dalle loro case, dai posti dove sono amati e cresciuti, distruggono attività, comprano, comprano approfittando del fatto che il denaro è una droga e nessuno sa resistere al suo fascino malefico. Nelle città locali storici, veri monumenti di civiltà sono stati acquistati e chiusi, distrutti per far posto alle solite catene di cianfrusaglie s stracci tipiche del nostro tempo. Il denaro, sogno irraggiungibile e meta agognata si trasforma improvvisamente in qualcosa di negativo: il male assoluto che tutto divora, una forza ostile che ti affascina e distrugge senza possibilità di resistenza.

Nel frattempo sono comparsi i figli naturali di tanta “ abbondanza” incontrollata: corruzione e riciclaggio che come le grandi epidemie si rivelano resistenti a qualsiasi tipo di vaccinazione e di rimedio.

I vecchi americani usavano regalare ai ragazzi” a Dollar bill”: un foglietto di moneta verde chiaro, pieno di simboli e di speranze, una moneta che doveva essere sollecitazione per una vita di impegno ed insieme un augurio di fortuna anche economica, giusto ritorno all’impegno del lavoro. Oggi questi simbolismi appaiono ingenui, patetici: si insegue solo la fortuna facile, fatta di cifre a sei zeri, quella che ti da potere e ti pone di diritto in quel manipolo di umanità che cammina tranquilla sulla testa degli altri.

Devo chiudere : oggi è mercoledì e mi è venuta la voglia di giocare una schedina.


Articolo apparso sulla rivista Valley Life , numero di Ottobre 2010

mercoledì 13 ottobre 2010

Grazie Cile


Sono andato anche oggi sulle mappe di Google per rinfrescarmi la memoria su questo Paese. So che esiste, ma onestamente non è uno di quei paesi dei quali immediatamente la memoria ti riporta davanti agli occhi tutti i particolari. Oggi vorrei conoscerlo meglio, vorrei averlo potuto visitare perchè credo che oltre alle risorse minerarie quel paese ha anche ben altre ricchezze da poter offrire al mondo intero.
Abbiamo seguito la vicenda dei minatori con notizie giornaliere si, ma buttate la tra uno scandaletto italiano, una diatriba politico- sindacale e qualche delittuccio tanto per gradire. Stamani ho guardato il recupero: potrei dire un" azione da manuale???tanto perfetta che sembra addirittura finta, sembra il set di un fotoromanzo girato da un regista con poca fantasia. Grazie Cile. Io che vivo e soffro in Italia credevo che il mondo fosse sull'orlo della rovina, che le persone non fossero più esseri responsabili e con i piedi per terra, credevo che tutto fosse....come da noi è ogni giorno, ogni cosa.
Noi, in Italia, in una diretta del genere avremmo messo certamente qualcosa di più: Come oggetto della " Vita in diretta" avremmo probabilmente avuto lo Sposini a commentare e coordinare gli interventi. Avremmo avuta la fortuna di udire in diretta che cosa ne pensava la Barbara Palombelli, o la signora Parietti. Gli psicologi di turno ( la televisione italiana ne ha uno stuolo a libretto) ci avrebbero informato sulle reazioni dei minatori recuperati, su tutti gli eventuali pericoli che correvano tornando alla luce del sole, tutti insieme avrebbero indagato e chiacchierato sulle famiglie scoprendo che avevano qualcosa da mettere in piazza, tanto per alimentare la strana bramosia di maldicenze inutili che tanto piacciono a noi Italiani. I commentatori più inteligenti avrebbero certamente detta tutta la loro insoddisfazione e indignazione per quanto era stato fatto. Durante le riprese avremmo avuto la possibilità di vedere in secondo piano, Carabinieri in posa, Vigili del fuoco schierati, vigili urbani, protezione civile, guardie forestali, e perditempo che affollano sempre le scene nostrane anche di avvenimenti che richiederebbero un pò più di ordine per essere poi definiti, investigati . Ci siamo persi una diretta con gomitate tra giornalisti per conquistare un attimo in più in video e irruzioni di " autorità" e di politici che venivano con facce cupe a portare solidarietà.
I Cileni invece non avevano tutto questo: non essendo un paese avanzato come l'Italia e non essendo parte dei grandi della terra, si sono accontentati di far bene un lavoro, di stare composti e partecipi insieme.Hanno manifestato con compostezza la loro gioia che deve essere stata immensa ed hanno espressa sempre la gratitudine verso il Paese, i compagni di lavoro i tecnici, tutti. Non ci sono stati cantanti che venivano a portare il loro messaggio, non ci sono state prime donne. Tutto si è svolto come un lavoro normale: normale, ben fatto e con grande professionalità. Avendo evidentemente poca dimestichezza con le infinite possibilità che il successo televisivo comporta, hanno pregato tutti di considerarli ancora e solo bravi operai e non trattarli come divi o giornalisti. Che facciamo???Ci vergognamo un po???????

sabato 25 settembre 2010

Dal Genio alla follia.......


Dal genio alla follia……..

Era , mi sembra qualche tempo vicino alla fine degli anni ’60.

Le ragazze tedesche avevano scoperto che nella riviera romagnola si potevano incontrare focosi e ruspanti ragazzotti italiani. Fu , per quanto ne so io, una delle prime forme di turismo sessuale del dopoguerra.

Pensai di far notare la cosa: feci una foto e misi nelle vetrine delle “ Botteghe di Fulgenzi” gigantografie che ritraevano una modella tedesca sdraiata su di un letto di fortuna con alcuni oggetti intorno molto eloquenti: scarpe da uomo, un fiasco di vino, una valigia. Una scritta: Benvenute in Italia!

Un giudice di Firenze prese male la cosa, confiscò le gigantografie e mi denunciò per offesa al comune sentimento del pudore.

Quella foto , oggi del tutto innocente, offendeva in quel momento “ il comune senso del pudore”, cioè , in parole semplici, le persone e soprattutto i minori, non erano in quel tempo pronti, “ preparati” a ricevere e sopportare l’impatto di una immagine simile e non erano in grado di poter assorbire e controllare gli effetti che una foto del genere poteva generare.

Si comprende quindi che Il comune senso del pudore cambia nel tempo e va continuamente ridimensionato, adattato ai nuovi standard di vita e di costume: quello che scandalizzava qualche diecina di anni fa, oggi può essere propinato anche a giovani adolescenti.

Ho pensato quindi che la stessa cosa dovrebbe valere anche per il pensiero e per tutte le sue esternazioni. Solo 50 anni fa ,molte classi sociali, certo le più umili ma in fondo la maggioranza, si esprimevano ancora utilizzando proverbi e modi di dire. Pochi pensavano di esprimere concetti in contrasto con il pensiero comune. Se andiamo indietro di qualche secolo troviamo addirittura gente mandata al rogo per aver espresso pensieri che sembravano audaci, contrari alla pubblica credenza. In questa sorta di censura repressiva, ricordiamo incapparono anche scoperte scientifiche obiettivamente esatte, ma colpevoli solo di mettere in dubbio quanto fino ad allora si era ritenuto vero.

A prescindere da questi eccessi,la legge fino ad oggi, si è preoccupata di regolamentare l’ uso della forza fisica ma sembra per contro, non aver stabilito alcuna regola per disciplinare l’uso della forza della mente che è altrettanto ma anche molto di più dirompente.

Non c’è regola o legge o protocollo che stabilisca quanto può correre sfrenata la nostra mente, fino a qual punto è lecito pensare, ragionare, riflettere, dedurre, esprimere e quale sia invece il punto dove dobbiamo fermarci, quella riga immaginaria che stabilisce un confine netto tra pensiero accettabile e consentito e invece, pensiero esagerato, che va al di là del “ pensiero comune”, che supera quel peso che la “ sensibilità” delle persone “ normali” è disposta ad accettare, o meglio è preparata ad accettare dovendo quindi essere tenuta al riparo da un uso scellerato e esagerato della mente. Quel pensiero dirompente che rasenta il “terrorismo di pensiero” in quanto è in grado di mettere in crisi , dimostrare nulli o inconsistenti i principi base su cui si regge il comune sentimento del vivere. Il reato di “ offesa alla pubblica decenza”, va ridimensionato continuamente via via che la pubblica decenza tracima da ogni argine e appaiono superate e anche ridicole le regole che lo controllano ma nessuno ha mai pensato di porre un argine alla forza del pensiero con il reato di “ offesa al pubblico pensare”

. Io mi domando quindi se dovrebbe esistere un codice di comportamento per l’ uso della mente e se esistono regole, dove e come sono codificate o come si possa fare se per caso ancora questo strumento non è stato previsto.

Oggi ragionando, discutendo e dibattendo si sono messi sotto la lente di ingrandimento del ragionamento e del dibattito, situazioni come il sesso, la famiglia, le razze, le classi sociali, l’ apprendere e l’ insegnare, l’ edilizia di massa, il giusto prezzo ma insieme anche la produttività e lo sfruttamento, il progresso tecnologico e la salvaguardia della natura. Questi e molti altre situazioni, che sono alla base del nostro sistema di vita, non hanno retto all’ analisi spietata del ragionamento estremizzato, hanno mostrato i punti deboli o discutibili ,hanno perduta tutta la loro validita ,e sono state travolte e sgretolate, spesso distrutte senza che nulla le abbia sostituite.

L’ umanità, ha le sue regolette codificate ed entro quelle costruisce le sue giornate e organizza la propria vita .Ciò che io mi domando è semplice : è giusto, è logico, è moralmente accettabile che il ragionamento metta in crisi il sistema esistenza che le persone si sono nel tempo costruite anche se risulta chiaramente fondato su basi prive di valori assoluti e quindi opinabili ????

Un mondo più razionale sarà più vivibile o si trasformerà in una sorta di ghetto per le masse, dominate da una aristocrazia di pazzi pensatori???

Dobbiamo con regole rigide e censorie, salvaguardare la tranquilla sopravvivenza di questa umanità, anche se il “ sistema” è basato su principi dubbi e discutibili o dobbiamo proseguire nell’ analisi fredda e razionale di situazioni razionalmente insopportabili , nella loro condanna e nella distruzione sistematica di tutto quanto presta il fianco a discussione e contestazione ????

E soprattutto sappiamo dove eventualmente ci porterà tutto questo?????


Articolo pubblicato nel numero di Settembre della rivista Valley Life

martedì 7 settembre 2010

La tribuna delle Autorità


Ho visto la Giostra del Saracino a Tele San Domenico. La trasmissione è iniziata con interessanti interviste ai principali protagonisti da parte di tre conduttori dotati ( due di loro) di microfoni rigorosamente spenti. E' un modo innovativo di fare interviste : ognuno si immagina ciò che vuole e non ci sono polemiche.
Il Saracino è , come tutte le cose che non hanno una vera tradizione , qualcosa in continuo divenire. Tutti quelli che hanno un' idea bislacca la tirano fuori, spesso le realizzano. Gli sbandieratori, con la Giostra del Saracino non c' entrano niente: è qualcosa che abbiamo sfacciatamente rubato al Palio di Siena che come si sa è gioco del '500 mentre il saracino è gioco " di guerra" del 2- 300.
Ora gli sbandieratori, che esportiamo come la pizza e altre amenità, crescono a dismisura per far fronte( suppongo) alle richieste del mercato- Questa volta la piazza era piena.
Quando ho fatto il saracino io negli anni '50-60, gli sbandieratori non c'erano, avevamo solo dei portatori di bandiere come si addice ad una truppa che si avvia alla battaglia. Non c' erano giustamente damigelle e altre cose che attengono più a tornei che si svolgevano di fronte ai nobili per loro sollazzo che a una truppa pronta per la battaglia . Anche alcune musiche sono state aggiunte in attesa forse di presentarsi a X factor.Anche i costumi cambiano, sempre più brutti e approssimativi, con simboli , riporti e particolari e tessuti che non appartengono all'epoca .I fantini calzano stivali da cavallerizzi a Piazza di Siena.
Nel Saracino quindi cambiano molte cose, ma una cosa ho notato è costante , immutata, intoccabile: la tribuna per le autorità.Al centro di normali e scomode tribune di ferro , ogni volta montate fra mille puerili polemiche, si trova una zona che anche Google definisce " zona VIP" attrezzata con più comode sedute in plastica .
I biglietti per quei posti ambitissimi e super ricercati, sono inevitabilmente gratuiti e sono, per quanto ricordo io, oggetto di una caccia accanita da parte dei possibili " aventi diritto".
Quando ero Capitano di Santo Spirito io, nessuno ci dava una lira e tutti lavoravano volontariamente e gratuitamente per l' occasione. Non facevamo una cena neppure fra noi dirigenti e organizzatori.
Oggi sento parlare di compensi sostanziosi a fantini, si parla di cene che evidentemente devono essere anche un notevole affare sempre a danno, naturalmente, di chi la ristorazione la fa ogni giorno e ne risponde osservando oneri e regolamenti.
Ho visto quindi la bella tribuna VIP , tutta con sedili arancione, mentre tutto intorno si trova la tribuna con panche di ferro dove siedono quelli " normali" , quelli che non sono VIP, che non sono Autorità, amici o parenti di Autorità, quelli cioè che hanno pagato, e credo abbastanza.
L' ingresso delle Autorità o dei VIP, non so come chiamare questo guazzabuglio di strana umanità, è tutto da vedere e da godere. Arrivano a gruppetti, sorridenti e felici. Si guardano attorno per vedere i fortunati mortali che come loro hanno avuto il privilegio di sedere nella zona eletta. Si salutano con la mano , si guardano in giro, si fanno vedere: non si vergognano, non si vergognano mai.
In prima fila il Sindaco, quello che dovrebbe dare il buon esempio e che potrebbe invitare tutti a pagarsi il posto . Quando io facevo abbigliamento negli anni '80 con la Fulgenzi Clothing Company avevamo fra i Clienti i Magazin du Nord di Copenaghen. La compratrice veniva giu ad Arezzo, faceva gli ordini e poi organizzava la sfilata a Copenaghen. Quando c'era la sfilata lei pagava il biglietto di ingresso come tutti gli altri. Ma Copenaghen è lontana da Arezzo.

mercoledì 25 agosto 2010

Articolo apparso sulla rivista Valley Life numero 66/ agosto 2010

La scatola da scarpe

Abitavamo in via Tolletta ad Arezzo, con il laboratorio del babbo in casa e la mamma sempre indaffarata ad inventar pasti economici e rammendar calzini. Ogni tanto ,molto raramente per la verità dato che allora l’unico mezzo per spostarsi era camminare, venivano a trovarci persone, parenti o amici, non ricordo bene, comunque sempre qualcuno molto vicino alla famiglia che doveva raccontare gli ultimi problemi, ascoltare da mia madre le ultime incertezze, i ragazzi, la loro crescita da tener sotto controllo, i prezzi del mercato che variavano secondo la pioggia e mettevano a dura prova le risorse delle massaie. Tra un sospiro ed una speranza mia madre offriva un bicchierino di rosolio quando c’era o di vinsanto ed un biscotto di riso.

Poi quando gli animi avevano dato sfogo a tutte le loro incertezze, mia madre tirava fuori “ la scatola da scarpe” ripiena con le foto di amici e parenti, foto ingiallite e stropicciate, con i loro bordi frastagliati e le figure confuse nei grigi incerti, attimi di vita fissati che univano le persone in emozioni comuni.

Le foto passavano di mano in mano, si ripercorrevano gli anni passati, gli avvenimenti che fortunatamente erano stati fissati su carta, le persone care, i particolari, i vestiti, e tutto tornava a saper di vita vera, la conversazione riacquistava un ritmo consolante e nuove speranze sostenute da quei sentimenti tanto ben raffigurati in quei cartoncini stropicciati,scacciavano via le malinconie e le preoccupazioni di ogni giorno.

Quelle foto erano la prova tangibile , certa di affetti, di legami con persone care, la testimonianza di momenti importanti ed ogni particolare era prezioso, imperdibile.

Poi si rimettevano tutte le foto nella “ scatola da Scarpe” e la mamma la riponeva nel cassetto della consolle di salotto in attesa della prossima occasione.

Quella scatola ci ha seguito per tutta la nostra vita e non l’ abbiamo perduta neppure durante gli anni agitati della guerra quando per le continue fughe abbandonavamo tutto e tutto andò perduto .Ricordo bene quelle foto: lo zio Pino emigrato in America con quei pesci enormi che solo in un paese ricco a quel modo potevano essere pescati, lo zio Giorgio, fratello di mia madre, militare convinto e dedito al servizio della Patria, con la divisa ben stirata , lo sguardo “ fiero” le mostrine…, la nonna Giannina nel piazzale della villa, sotto la grande pergola di glicine, con i capelli piegati con le schiacce in grandi ondulazioni, la mamma con il suo abitino con il collo di pelliccia che la sarta con grande maestria aveva saputo ricavare da un vecchio vestito consumato del babbo, mio padre con la sigaretta accesa ed il cappello Borsalino sulle “ ventitre “ ,il nonno Adolfo con la nonna Maria in una carrozza nera e lucida a Mergellina con il Castel dell’ Ovo sullo sfondo, una foto mia e di mio fratello Gigi: io impettito e tirato a lucido con i capelli e la brillantina e quella mia arietta da sapientino, Gigi invece con la sua tutina con gli elastici sulle coscette infantili ed un’arietta da furbino che non lo abbandonerà mai.

Ogni foto era motivo di considerazioni e di scoperte e per quanto fossero state tutte prese in mano centinaia di volte esaminate e commentate, ogni volta si rivelavano portatrici di nuovi particolari, di eterni messaggi , di utili suggerimenti, di grande consolazione.

Oggi quella scatola non c’è più: fra le tante distrazioni degli ultimi tempi anche quella ne è rimasta vittima.

Io ho 7500 fotografie nel computer , oltre 2000 nel Melafonino, qualche migliaio nei due portatili. Le ho infilate in ogni parte possibile:sono nei miei siti, nel Blog, ho fatto album virtuali, giganteschi, approfittando della ospitalità della rete, le ho infilate nei network specializzati, in quei social-network che dovrebbero in qualche modo sostituire quella benedetta scatola di cartone. Apro i miei spazi e trovo

“ amici “ che non immaginavo di avere e che non riesco ad inquadrare in qualsiasi situazione che mi appartenga . Ho il mio “ profilo” unito a quello degli altri,: un esercito di estranei stretti in una pseudo amicizia irreale. Sono i “ non –amici”, i “non-parenti” che si ritrovano tutti insieme nei “ non-luoghi”, quelle persone che completano il quadro di quelle situazioni irreali che contribuiscono a costruire il mondo di oggi in un connubio di ricchezza e di miseria ( sto parlando di sentimenti) che fa stupire. Posso leggere cosa pensavano o facevano 5, 10 minuti fa, diecine di persone che dicono di essermi amiche, o comunque vicine in questo calderone di sentimenti appena accennati, di desiderio di stare insieme . La foto mi da le coordinate, la posizione esatta, i dati tecnici, luce , obiettivo, giorno e ora. Un esercito di sconosciuti mi è “ vicino” mi invita a feste impossibili, a raduni incomprensibili.

Io sono un amante della tecnologia e credo che tutti dobbiamo approfittarne e utilizzarla come base per un nuovo stile di vita, ma nello stesso tempo credo che non dobbiamo rinunciare alla nostra personale “ scatola da scarpe” dove i nostri pensieri, gli affetti, le nostre personalissime emozioni tengono custodite le immagini delle persone e comunque tutto ciò che ha contribuito, attimo dopo attimo, alla stesura di quella storia irripetibile che è la nostra vita, che appartiene a noi, solo a noi ed alle persone a cui siamo legati da affetti semplici e profondi, naturalmente veri.

Teniamola da conto questa eterna “ scatola da scarpe”: nei momenti difficili e quando avremo bisogno di consolazione non ci sarà bisogno di esser connessi o di essere in regola con l’ultimo piano tariffario. Basterà chiudere gli occhi e la scatola miracolosamente rivelerà tutto il suo consolant

domenica 22 agosto 2010

Bentornati a casa





Bentornati a casa. Noi che siamo stati quà , come tanti, più per mancanza di risorse che per mancanza di progetti estivi, siamo lieti di vedere che siete sopravvissuti nelle autostrade , che siete stati forti nell'attendere aerei in ritardo,che avete conquistato il vostro ombrellone in prima fila, che avete vissuta la vostra parte da " vacanzieri " al meglio delle vostre possibilità.
Se ci avete inviato cartoline , le guarderemo con invidia cercando un segno di vita in quelle immagini fredde ma seducenti, classiche delle cartoline, che sembrano fatte apposta per suscitare voglie impossibili fra quelli rimasti a casa.
Sono lieto che siete tornati, che avete dato sfogo a molte vostre energie , a tutte le vostre fantasie erotiche e no.
Se avete riportato esaltanti ricordi di avventure e di momenti estivi che vi hanno particolarmente sovraeccitati, vi prego, tenetevele per voi.Non sono così interessanti per la comunità e raccontandole perderanno molta della loro originalità e di quella che a voi è sembrata una esclusiva occasione.
Se vi siete stressati per qualche motivo, ( certamente ne avrete tanti a giusta ragione) non drammatizzate. Siete partiti stressati e così resterete. lo stress è una malattia cronica, al contrario di quanto dicono i medici' e colpisce alcune, troppe persone, fino dalla nascita.
Se l' amico che viaggiava con voi ha fatto sempre finta di arrivare tardi alla cassa per pagare l' aperitivo , non prendetevela : gli amici vanno presi come sono. Se la casa, la pensione , l'albergo o la barca non erano come avreste voluto, pazienza, cercate di capire che tutto è relativo e che non possiamo pretendere il massimo secondo la regola " low cost". Se tornando a casa trovate il frigo che non riparte, qualcosa che non funziona o peggio la casa svaligiata, .....calmi: questo rientra nel conto quando si abbandonano le cose ...al " pubblico rispetto" che , come è noto , non esiste più.
Ora bisognerebbe ricominciare a lavorare, . Disgraziatamente per qualcuno non sarà possibile data la situazione del mondo del lavoro, quindi noi che abbiamo la fortuna di poter svolgere una qualsiasi attività, bene o male retribuita, rimettiamoci sotto con entusiasmo e determinazione perchè il ritmo del lavoro in generale riprenda con forza e si riesca a ridar occupazione anche a chi ora non ce l' ha. Se le vacanze vi hanno deluso il lavoro potrà ripagarvi e darvi le giuste soddisfazioni. Buon lavoro a tutti. Coraggio: le settimane bianche( se il Padreterno vi ascolta) potrebbero essere vicine.

mercoledì 4 agosto 2010

L'amico Vincenzo Reda mi risponde ancora ed io non posso fare a meno di offrirvi anche la sua testimonianza che a me sembra preziosa .Questo blog non dovrebbe essere un colloquio a due , tra me e Vincenzo: se qualcuno vorrà intervenire potremo insieme arricchire le nostre riflessioni.Grazie

Caro Giancarlo,
Leggere certi tuoi scritti ogni tanto mi stimola ricordi.
Andai a New York la prima volta per correre la maratona nel novembre del 1987, avevo gli anni di Cristo.
Ci arrivai pieno di preconcetti, pensando di trovare un posto invivibile e senz’anima. Purtroppo, quell’anno la maratona si correva il primo di novembre, domenica di halloween e si correva dopo quasi una settimana dal mio arrivo in città. Ero in forma smagliante e preparato a correre in meno di tre ore le 26,386 miglia (42,195 Km.): l’unica cosa che mi preoccupava era di tenermi in allenamento fino al fatidico colpo di cannoncino sul ponte Da Verrazzano a Staten Island.
Successe che mi dimenticai completamente della maratona e, insieme con il mio cognato di allora Alex (mia sorella ha poi divorziato da quell’adorabile pazzo), scorazzammo quasi sempre ubriachi per tutti i luoghi possibili della città, in una sorta di delirio che non si può raccontare.
La notte prima della gara, Alex mi trascinò di forza - ero pieno di martini fino ai capelli - in albergo: ci si doveva alzare molto presto per raggiungere in bus dal centro di New York (eravamo in albergo a due passi da Central Park) il luogo della partenza. Mi alzai come ci si alza dopo una sbronza e tre ore scarse di sonno: coma totale.
Confuso tra i 21.000 partecipanti di quell’anno, e si partiva ancora tutti insieme, cominciai a correre almeno dopo un quarto d’ora abbondante dopo il via (causa la ressa dei partecipanti). Ebbi varie crisi, ma riuscii a finire la gara in 3h e 31 minuti! Mi piazzai intorno al 4.200 posto ed ero completamente disfatto!!
Alla partenza da quel posto magico, giuro, ho pianto.
Sono tornato lì una sola volta, purtroppo, ma quella città mi è rimasta nel cuore, nello stomaco, nel cervello. Bisognerebbe passarci almeno un mese tutti gli anni.
Quindi ti capisco appieno e hai profondamente ragione.
Salute

martedì 3 agosto 2010

NEW YORK



Dire che amo New York non rende bene l’idea:il fatto è che io ho il cervello fatto a forma di New York!!!!! Io sono un Californiano per adozione. Ho lavorato molte volte a Macy’s in Union Square e la California mi ha letteralmente liquefatto il cuore quando alla fine degli anni ‘ 60 ho avuto modo di veder nascere e partecipare a quel movimento che fu definito Hippy . Avevo aperta una sala campionaria a Marina , tra il Fisherman warf ed il Golden Gate. Alla sera mangiavo grandi filetti alla griglia da New Joe in Broadway e poi me ne andavo in giro a entusiasmarmi per le mille imprevedibili provocazioni che la San Francisco di notte ti offriva. In California ho sempre respirato aria di libertà , ho camminato per le strade e scarrozzato con il Cable Car con quella gioia del non far niente in una situazione che non ha niente dell’ozio o della rinuncia : a San Francisco non fai niente e senti che vivi al massimo, che le tue celluline grigie mettono le foglioline verdi come gli alberi a primavera e le idee si gongolano e crescono bene nutrite da quell’arietta frizzantina e da tutto quanto ti circonda. In California ogni cosa è una, mille idee, ogni sasso, ogni spiaggia, ogni macchia di verde ti fa sentire tutto uno con la natura, ma non sei lontano come in un bosco solitario, non sei out ma sei connesso con il mondo delle idee e delle emozioni . A san Francisco anche i cani sono felici, i mendicanti, grandi artisti che ballano e cantano o suonano per le strade con una maestria tale che ti domandi di che cosa ci accontentiamo in Europa. Bene, se questo è quanto la California ha da sempre alimentato in me, da un po’ di anni New York mi ha conquistato. A New York ho lavorato in lungo ed in largo negli anni ’60-’70, da Brooklin ai migliori Department store di Manhattan, fino alle periferie Queens, New Jersey e altro . Il lavoro mi aveva presentato una New York tradizionale, i grandi alberghi in centro, i party organizzati dalle special events coordinators, le cene tradizionali nelle famose Steack house, i musei, la biblioteca Rizzoli, Tiffany e tutto quel guazzabuglio di cose belle e uniche che solo New york ti propina a piene mani.

Poi sono terminate le occasioni di lavoro e mi sono accorto che New York non era quella che conoscevo da sempre o meglio non era solo quello: l’occasione mi fu data dall’aver scelto un alberghetto nell’Upper West Side. Trovai una New York diversa che non conoscevo e decisi quindi di esplorarla meglio da quel nuovo punto di vista.

Mi sono scelto alberghi fuori mano , nel nord dell’ isola oppure direttamente nel New Jersey per dovermi muovere e vivere tutti quei posti lontani dalla “ Mela” che tutti conosciamo. Ho camminato nel grande parco proprio all’estremo nord dell’isola oltre il Cloister museum, dove l’ Hudson si divide in due e l’abbraccia fino giù all’ Oceano,sono stato ore ad osservare il via vai di studenti nel tranquillissimo Campus della Columbia University, mi sono fatto tutte le linee della subway , anche le più periferiche sbarcando in quartieri impossibili, villaggi di pescatori, ghetti di neri malandati, sobborghi da cartolina di natale o zone residenziali secondo la miglior commedia americana,attraversando quei quartieri residenziali, nuovi o vecchi e malandati con la consunta bandierina americana , dove milioni di persone si ritirano ogni sera dopo aver animato in vario modo questo spicchio di mondo .

Ma anche i luoghi deserti hanno un fascino particolare e sono lì perché tu li possa leggere senza il colore dell’umanità che in certi momenti li frequenta e li anima, ma sempre ne condiziona il godimento

Sono andato a dicembre a Coney Island ed a Long Island con l’oceano che si sfoga sulla lunga striscia di sabbia ed il vento l ‘ alza da terra e la porta a levigar montagne di conchiglie. I gabbiani in fila controvento creano ombre di sabbia che si accumula attorno alle gambette e ti guardano meravigliati Ho passato ore sulle panchine attorno a Battery park osservando il via vai dei battelli tra Manhattan e il New Jersey, .Ho preso alberghi impossibili, quelli dove la zona difficile da superare è tra l’ingresso guardato da un portoricano e le scale inquietanti , poi arrivi in camera e chiudi tutto , al sicuro nuovamente .Ho camminato nel parco con la neve e tanto ghiaccio che sembra non dovrà sciogliersi mai, e nei giardini, ho mangiato le mie zuppe a peso a Bryan Park con un freddo boia guardando operai imbacuccati come marziani smontare o rimontare una pista da ballo o da pattinaggio, e gli immancabili appassionati di scacchi a giocar con ogni tempo. Mi sono fatto scorrazzare da tutti i traghetti , ho camminato e curiosato nelle isole che completano questo mondo infinito chiamato New York. Nei giardini spesso piccole bandierine piantate a terra con un Nome scritto sopra un cartoncino, testimoniano il desiderio di far continuare a vivere la memoria di giovani ragazzi caduti lontano,ragazzi suonano chitarre nelle stazioni della subway , attimi di paura e di malinconia subito vinti e sopraffatti dalle grandi insegne pubblicitarie che inneggiano ad una vita facile e felice per tutti.

Ora New York mi è entrata nel sangue come un veleno e non posso più vivere senza. Ogni giorno , ogni attimo la sogno la penso come un grande amore non corrisposto. Vivo con il terrore di non poterci tornare, di non rivederla più. E’ strano amare tanto un posto che apparentemente non mi appartiene. Io stesso non me lo so spiegare se non seguendo il filo dei miei sentimenti irrazionali.

domenica 1 agosto 2010

La grande festa della Porchetta


Questo fiorire di attività culturali, in estate , ad uso e consumo dei turisti specialmente stranieri, mi fa ripensare all’ antica abitudine di indossare il vestito della festa nelle occasioni importanti o di metter la tovaglia “ buona “ a tavola quando si invitava qualcuno .E’ un’abitudine provinciale, un modo di presentarsi agli altri come in effetti non si è, anche se si intuisce che quella dovrebbe essere logicamente il nostro vero modo di essere . Preferiamo “ salvare le apparenze” pensiamo basti la forma, la sostanza non conta. Mentre gli italiani “acculturati” si godono l’estate con sagre della nana, feste di porchette e grandi abbuffate di paste fatte in casa, mentre i nostri giovanotti impazzano con impossibili raduni attorno a improvvisati happy hour e notti di ogni colore che hanno il solo risultato di trasformare le città in qualcosa di invivibile ed insopportabile, nelle cantine delle grandi fattorie degradate ad agriturismo , nei sagrati di qualche chiesetta di campagna , negli angoli certamente suggestivi di questa nostra benedetta terra, si organizzano concerti, recite di poemi inediti di qualche secolo fa, serate di musica classica. Si rispolverano quartetti d’archi, soprani incerti, fini dicitori e artisti di ogni genere che , mi domando , dov’erano e cosa facevano in tutto il resto dell’anno, in tutti quei mesi in cui l’unica forma di spettacolo diffusa è quella dei reality TV..

Gli stranieri, pochi quest’anno, accorrono ammirati e certo tornando nelle loro terre racconteranno come la cultura sia viva e ben praticata in Italia, come il popolo la coltiva giorno per giorno, facendo vino al suono di musiche di Bach, coltivando i campi declamando Cicerone, facendo shopping ascoltando melodie fantastiche.

Racconteranno che mentre comperi un etto di salame il macellaio ti declama Dante e che si beve vino centellinandolo nel fresco delle cantine ascoltando Beethoven.

. Quando abitavo a Roma , a via del Babuino, dalle case attorno alla Bottega di Fulgenzi, case degradate come gran parte del centro di Roma, uscivano tipi agghindatissimi che noi del quartiere conoscevamo benissimo per essere tipici rappresentanti di tutta quella fauna che era vissuta ai bordi della famosa “ dolce vita” raccogliendo le briciole e che non voleva riporre nel famoso cassetto quel sogno impossibile, e comunque tramontato, ma io direi mai esistito veramente.

Abitavano in case che spesso avevano i cartoni al posto dei vetri e potevano mantenersele solo grazie a quel traffico strano tipico romano per cui se affitti una casa poi spesso se la passano di mano in mano ed il proprietario non riesce più a rintracciare le fila di questa fantasiosa locazione. Uscivano da queste case fatiscenti,( Via Laurina, via Margutta etc) con vestiti elegantissimi anche se spesso di annata, grandi fazzoletti fuori dai taschini, cravattone ben annodate, cappelli e capelli vissuti, e con quell’aria di chi la vita la conosce come le sue tasche (vuote in questi casi). Si andavano a piazzare nei tavoli di Rosati o di Canova a Piazza del Popolo, oggetto di ammirazione e invidia dei turisti italiani e no che non potevano non essere affascinati dalla vista di personaggi tanto eccezionali.

Certo tutti pensavano, doveva trattarsi di nobili romani, o di gente dello spettacolo o comunque di persone che solo in una citta come Roma potevi incontrare, un eleganza di portamento e di modi che solo in Italia potevi ammirare..

Martini dipingeva con le sue bottigliette di inchiostro di china, sugli scalini della chiesa di Santa Maria attorniato , nonostante la sua allergia alle docce, da giovani turiste ammaliate sempre dal fascino di questi artisti che in Italia con niente, creano arte e meraviglie. In una Roma sguaiata e caciarona i turisti hanno per anni subito il fascino irresistibile di questa citta dalla “ dolce vita” .

Attorno a me , nella splendida Val di Chiana, i paesi , piccoli gioielli toscani, sono praticamente morti, distrutti da amministrazioni comunali ignoranti e incompetenti. I pochi monumenti che la lunga storia di questi posti ci ha donato, sono trascurati, cadenti praticamente in rovina. Le sagre di ogni genere invitano il popolo a baccanali sguaiati e senza senso. Si vive tra nane arrosto e porchette chilometriche, niente di più, l’ agricoltura stessa che era custode di grande civiltà del vivere, è praticamente scomparsa senza che nessuno se ne preoccupi.

I macellai declamano Dante mentre nelle cantine musiche di Bach e soprani incerti lasciano pensare ai turisti che siamo un popolo educato e amante della cultura.I Comuni non hanno , dicono, soldi per acquistare cassonetti dei rifiuti , ma trovano risorse per organizzare incredibili rievocazioni storiche di battaglie che nessuno conosce bene e che non interessano più. La storia continua. Ancora prendiamo in giro Mussolini perché durante la visita di Hitler in Italia coprì le brutturie di una Roma trasandata con scenari da palcoscenico. Abbiamo perduto il pelo…ma il vizio……… !!!!!!

venerdì 23 luglio 2010

NOSTALGIA DEL FUTURO



Un amico sincero, mi invia due righe di commento ad un mio ultimo scritto pubblicato sul blog. Si dice meravigliato e addolorato perché trova nei miei recenti scritti una vena di tristezza e di malinconia per il passato. Mi ricorda, bontà sua, chi sono io e che cosa ho fatto nei lunghi anni della mia vita e solo per questo, dice, io dovrei sentirmi felice ed appagato.

Sbaglia in un punto solo: la mia non è nostalgia del passato…la mia è solo “ nostalgia per il futuro” , per il futuro che ci facciamo mancare,insofferenza per le possibilità che abbiamo e non sfruttiamo, per questa aria di smobilitazione e di rilassamento che pervade tutto e tutti.

Parlavo nel numero scorso della distorsione conseguente alle intelligenze applicate male.

Ormai interessanti progetti spesso, troppo spesso, non servono più per tracciare la linea da seguire in un azione atta a realizzare qualcosa, ma divengono essi stessi motivo di attività, di incontri, riunioni, convegni ,discussioni . Anziché operare e fare, si discute su come , quando e se sia il caso di…..e in questa frenetica attività del nulla si consumano tempi e quelle poche risorse intellettuali disponibili.

La fabbrica della miseria !!

Non è vero che ho nostalgia del passato:Sono nato in un’ Italia incerta e ancora prevalentemente rurale. Negli anni prima della guerra la vita era dura e densa di privazioni; poi la guerra, la fame, il freddo i bombardamenti americani e le rappresaglie tedesche. Finalmente nel dopoguerra si riaccese la speranza, ma eravamo privi di tutto. Anni e anni di autarchia e di miseria, di bombe e di mancanza di materie prime , avevano ridotto il paese in condizioni tragiche. Ci mettemmo a lavorare , con la forza della disperazione, con quella determinazione tipica di chi ha visto l’inferno da vicino e cerca di allontanarsene il più velocemente possibile. Abbiamo lavorato 30 anni a testa bassa sperando di costruire un paese migliore, al riparo dalle brutte stagioni. Poi il tarlo velenoso di un falso benessere ha cominciato a contaminare tutto ed ha bloccato il nostro mondo in una sorta di degrado senza fine.

Nostalgia , quindi, dei tempi passati??? Nostalgia di che???no io ho “ nostalgia del futuro”, del futuro possibile che vedo realizzato in tanti paesi e che tarda a prendere vita qui da noi.

Ho nostalgia di una campagna come Dio comanda, come ho recentemente visto in una delle mie gite in California. Non sogno i contadini piegati dalla fatica, le case buie, i raccolti incerti , i mercati poveri di quando ero ragazzo, no sogno un agricoltura moderna , efficiente, dei contadini sereni, fieri del lavoro che fanno.

Ho nostalgia per un turismo tranquillo, costante, “ normale” rispettoso e partecipe di tutte le bellezze che il nostro territorio può offrire, libero ed esente dalle invasioni di massa. Ho nostalgia di persone civili, che civilmente vengono a visitare i nostri luoghi e civilmente vengono accolte e trattate.

Ho nostalgia di industrie che abbiano il coraggio di stare sul mercato e dove tutti sappiano coniugare privilegi e impegno, responsabilità e profitto. Non sono pessimista ,tutto questo è possibile , è realtà in tanti paesi e noi faremmo bene ad approfondire il nostro impegno anziche dibattere per trovare scuse a giustificazione della nostra incapacità, o meglio dal nostro desiderio di sottrarsi ad un impegno serio che come qualsiasi lavoro, comporta anche una buona dose di sacrifici.. Se per altri è possibile , per noi deve anche essere possibile: le scuse che troviamo non fanno altro che evidenziare tutta la nostra fragilità.

Ho nostalgia di una scuola vera, tranquilla dove si va per imparare, con impegno e con sacrificio. Una scuola dove gli insegnanti sono professionisti preparati e rispettati e motivati ed i genitori sono consapevoli che se i loro figli devono crescere e farsi forti per la vita, devono impegnarsi duramente e che la scuola è lì per formarli e giudicarli senza che alcuno debba interferire.

. All’università, quando facevo medicina, negli anni ‘50 nelle sale d’ anatomia non c’era neppure il sapone per lavarsi le mani e per essere presenti alle lezioni in via degli Alfani a Firenze dovevamo aspettare per le scale, fino nel cortile, tanto le aule erano insufficienti. Non ho nostalgia di quelle scuole, vorrei solo le nostre oggi all’altezza del nostro tempo , in regola con quello che il futuro ci chiede, e non sono neanche pessimista, anzi sono ottimista perché scuole del genere in grado di formare bene i nostri ragazzi sono possibili , esistono in tante parti del mondo , non sono un miracolo impossibile.

Ho nostalgia di una classe dirigente preparata, seria, credibile, che assolva agli impegni di pubblici incarichi con dedizione e sacrificio, prima che con profitto personale. E’ una nostalgia legittima , un sogno realizzabile perché già essere scelti per guidare, amministrare, gestire la cosa pubblica è così grande onore e privilegio che non dovrebbe mai esserci dubbio su comportamenti degli interessati.

Il mio non è pessimismo, io sono positivo, so con quanta facilità si possono fare le cose, solo che ci poniamo problemi semplici e ben programmati. Pessimismo è quello dilagante che impegna tutti in fastidiosi dibattiti per giustificare, spiegare e dichiarare inevitabile la nostra sconfitta.

Ho nostalgia di una edilizia rispettosa dell’ambiente, del nostro tempo, del nostro stile di vita.. Hanno distrutto la Toscana riempiendola di assurde zone industriali, artigianali, commerciali, inventando mille scuse pur di vendere con la complicità di comuni, società di leasing, banche e cementifici migliaia di inutili orribili capannoni che spesso appena costruiti mostrano un bel cartello” vendesi o affittasi” a riprova che sono stati messi li senza alcuna ragione.

Ho nostalgia di un mondo possibile, tecnologicamente avanzato, che faccia tutti partecipi di tutti i vantaggi che questa enorme risorsa ora disponibile ci offre.

Negli anni ‘70__’80 si discuteva, nelle solite tavole rotonde, su come l’ umanità avrebbe impiegato tutto il tempo libero che avrebbe avuto negli anni 2000 e seguenti, in conseguenza del diffondersi della tecnologia.

Si ipotizzavano robot che avrebbero sollevato l’umanità intera da fatiche e incertezze. Non avremmo dovute neppure più accendere le luci di casa. I robot avrebbero costruito tutto e addirittura, furono pensati robot che si sarebbero autoriprodotti rimpiazzando automaticamente quelli di loro che si erano consumati nell’attività.

Ho nostalgia di ciò che potremo essere e di come potremo vivere quando avremo smesso di utilizzare la tecnologia solo per divertimento e quando ci renderemo conto che il mondo del lavoro non è solo fatto di week end, partite a tennis, ponti e gite per congressi, pause caffè e di “ un attimo ..torno subito!”

Negli anni ’60 i ragazzi stavano in coda nei miei negozi di Milano, di Roma e di Firenze per mostrarmi possibili oggetti, disegni, scritte, progetti, nuove grafiche, prove di forme e di materiali.

La maggior parte di queste proposte erano inutilizzabili ma tutte erano nate e venivano porte con una carica di desiderio creativo ed io affascinato, li osservavo,li discutevo, li ricompensavo.

Anche quelli che non andarono mai a buon fine e non dettero vita ad una produzione commerciabile, contribuirono ad alimentare quell’atmosfera di febbrile creatività che caratterizzò l’attività della Fulgenzi nell’arco di 30 anni.

. Io da quelle ricerche a volte importanti, a volte ingenue, traevo comunque la forza, la spinta per tenere viva la mia fantasia e aggiornata , anzi avanzata, l’attività dell’azienda. A tutti quei ragazzi ancora oggi devo il mio desiderio di creare, di rinnovare , di porre sotto la lente della fantasia, della creatività di una continua ricerca, tutto quanto mi circonda ,ricercando sempre, in ogni momento un mondo possibile, nuovo e migliore.

Articolo apparso sul numero di Luglio 2010 della rivista Valley Life

lunedì 19 luglio 2010

Da Vincenzo Reda ricevo queste righe:

Beato te che odii una razza sola. Io che sono più bestia odio:
La razza degli stupidi (cretini, imbecilli, idioti, ecc.)
La razza dei presuntuosi
La razza dei cazzoni
La razza di quelli che sono in ogni ambiente immutabili come rocce (quello che ha
sempre la cravatta, quello che ha sempre l’infradito, quella che deve semprecercare uno che la trombi, quello che è sempre comunista, quello che s’intende sempre di vino, ecc.)
La razza di quelli che hanno sempre un consiglio da darti, un ristorante da suggerirti, un posto stupendo dove andare, ecc.
La razza di quelli che ogni uomo, donna, cosa, desiderio ha un prezzo.....
E potrei continuare: ma non è la vecchiaia che mi ha reso così, da ragazzo ero anche peggio...
Salute

Vincenzo Reda dipinge con il vino, scrive e sopratutto , pensa . Quando parla tira schioppettate veloci e quasi sempre a segno. Andate a vederlo e conoscerlo meglio: www.vincenzoreda.it

Elogio del razzismo !!

"Giovanotti" di oggi all'Happy hour !!!!

Credo che ormai ci siamo abituati a questo rimescolio di razze e di abitudini. Negli anni '60-'70 quando ancora fare l'autostop era una cosa possibile e non ti metteva a rischio di vita, nelle mie giornaliere corse tra Roma, Firenze e Milano, prendevo su, giovani di tutte le nazionalità, e se trovavo qualcuno che voleva trattenersi un pò di tempo e aveva anche voglia di guadagnarsi il soggiorno, lo portavo direttamente al Mulinaccio , il ristorante che avevamo preso per scherzo a San Casciano Firenze. Al Mulinaccio c'era spazio sufficiente per tutti, e alla sera mescolavamo razze, esperienze e speranze di fronte ad un bicchier di vino e buona musica da sottofondo. Il ristorante era una buona scusa per stare insieme e conoscere altre vite, provare altri sentimenti.
Anche alla Fulgenzi oggettistica, le porte erano aperte a giovani di tutto il mondo. Al successo della Fulgenzi contribuirono in modo determinante giovani americani, greci, siriani, svedesi,danesi, tedeschi , giapponesi, inglesi.
Erano gli anni '70 facemmo esperienze splendide e nacquero amicizie che poi si sono sparse per il mondo ma che ancora resistono brillanti, ricche di energie e sentimenti positivi.
Oggi i popoli si sono mescolati e rimescolati, ora viviamo normalmente quelle situazioni che allora furono per noi molto gratificanti ma certamente molto insolite.
Io quindi da sempre sono abituato e godo nel vivere, lavorare e dividere i miei pensieri con gente proveniente da qualsiasi parte del mondo. La cosa non mi coinvolge e non considero mai una persona diversa da me migliore o peggiore: è solo un altra persona con la quale amo dialogare e confrontarmi, ma il confronto c'è, inevitabile e porta a delle conclusioni.
C'è ,vorrei dirlo chiaro, una razza di persone che non sopporto ed oggi quì, vorrei confessarlo. C'è una razza di persone verso la quale io sono" razzista"e che vorrei fosse in qualche modo estirpata da questo territorio.
Queste persone sono facilmente individuabili anche senza esaminare il loro passaporto, anzi quello non serve proprio. Hanno segni distintivi ben individuabili: occhiali da sole incorporati, aderenti come un tanga stretto anche quando fa buio, calzano imbarazzanti infradito o magliette tipo Braccio di Ferro anche dove c'è aria condizionata a tavoletta . Tatuaggi impossibili da decifrare ti proprongono misteriose scritte giapponesi sotto le quali sobbalzano bicipidi poderosi.
Si radunano a frotte , a branchi scomposti ed hanno un modo di stare assieme rumoroso e disordinato .
Pare che questa nuova razza non corra rischi di estinzione come i nativi dell'australia o gli indiani d'america ma anzi pare che sia in grande, continua e preoccupante espansione.
La razza degli " stupidi " è resistente a qualsiasi ragionamento logico e subito reagiscono tacciandoti di particolare razzismo e chiusura al progresso: loro rappresentano il progresso, il domani!!!!
Io voglio dichiararlo forte in modo, se sarà necessario, di esser condannato in un pubblico processo.
Non sopporto la razza degli " stupidi", per me rimangono tali qualsiasi sia il colore della pelle o la lingua che parlano rivendico il diritto di pensarlo e di dirlo . Se poi appartengono alla nostra gente la cosa mi irrita ancora di più e vorrei che fossero deportati ,....speriamo.